Matteo Bruni:Buongiorno Santo Padre. In questi giorni abbiamo potuto incontrare tanti popoli di queste terre Africane dell’oceano indiano. Sono popoli con tanti giovani, con tanti ragazzi e bambini. Popoli pieni di coraggio e speranza proprio perché giovani. Abbiamo potuto anche vedere tante ferite che Lei ha toccato con mano e nei suoi discorsi. Noi giornalisti abbiamo visto tanti segni di resurrezione e di riconciliazione e di pace. I giornalisti, suoi compagni di viaggio, hanno seguito intensamente gli eventi di questi giorni e hanno raccontato al mondo le storie, i volti e anche le tematiche che hanno incontrato, contribuendo a mettere il Mozambico, il Madagascar e le isole Maurizio, l’Africa, un po’ al centro dell’interesse internazionale. Io li ringrazio per il lavoro fatto con passione e fatica e a loro passerei la parola per alcune domande che desiderano rivolgerLe.
Il Papa: Prima di tutto voglio ringraziare la compagnia: grazie.
Domanda di Giulio Mangiate di Noticia
Grazie dell’opportunità che mi è stata data di poter parlare a nome dei giornalisti del Mozambico. Lei ha potuto dialogare col presidente del Mozambico. Quali aspettative ha dopo questo incontro in relazione al processo di pace?
Oggi si identifica il Mozambico con il lungo processo di pace che ha avuto nel tempo i suoi alti e bassi, fino a quell’abbraccio storico. Mi auguro che questo vada avanti e prego per questo. Invito tutti a fare di tutto e a contribuire affinché questo processo di pace possa andare avanti. Perché “tutto si perde con la guerra, e tutto si guadagna con la pace”, ha detto un Papa prima di me. È stato un processo di pace molto lungo, perché ha avuto una prima tappa, poi una caduta, poi un’altra, accompagnato dallo sforzo di capi di partiti contrari, per non dire nemici, la volontà di andare a trovarsi l’un l’altro, facendo uno sforzo anche pericoloso, e alcuni hanno rischia la vita alcuni, ma alla fine siamo arrivati. Vorrei ringraziare tutta la gente che ha aiutato, fin dall’inizio, dal primo che ha iniziato in un caffè. In un caffè c’era gente che parlava e c’era un sacerdote della Comunità di Sant’Egidio – sarà fatto cardinale il prossimo 5 ottobre – che ha iniziato il processo di pace lì. E poi ha continuato con l’aiuto di tanta gente di Sant’Egidio ed è arrivato a questo risultato. Non dobbiamo essere trionfalisti in queste cose. Il trionfo è la pace, non abbiamo diritto a essere trionfalisti perché la pace ancora è fragile nel tuo Paese, come nel mondo, è fragile e la si deve trattare come si trattano le cose “a pennellate”, come fanno i bambini, con molta, molta tenerezza, delicatezza, perdono, pazienza, per farla crescere e che sia robusta. Ma è il trionfo del Paese, la pace è la vittoria del Paese. E questo vale per tutti i Paese che si distruggono con la guerra, le guerre distruggono, fanno perdere tutto. Ho a cuore il tema della pace. Quando c’è stata la celebrazione alcuni mesi fa dello sbarco in Normandia, ricordo che c’erano i capi dei governi a fare memoria dell’inizio della fine di una guerra crudele e di una dittatura anti umana e crudele come il nazismo e il fascismo. Ma su quella spiaggia sono rimasti quarantaseimila soldati, eh! Il prezzo della guerra. Vi confesso: quando sono andato a Redipuglia ho pianto: per favore mai più la guerra. Quando sono andato ad Anzio mi sentivo allo stesso modo. Dobbiamo lavorare con questa coscienza: le guerre non risolvono niente. Anzi fanno guadagnare le persone che non vogliono l’umanità. Dovevo dire questa cosa davanti a un processo di pace sul quale prego perché vada avanti e mi auguro che resti forte.
Cosa pensa del problema dell’educazione dei giovani in Africa?
Il problema della gioventù. L’Africa è un continente giovane, ha vita giovane. Come ho detto a Strasburgo la madre Europa è quasi diventata la nonna Europa, è invecchiata. Stiamo vivendo un inverno demografico gravissimo in Europa. Non so in quale Paese, ma è una statistica ufficiale del governo di quel Paese: nell’anno 2050 in quel Paese ci saranno più pensionati che gente che lavora. È tragico. Quale l’origine di questo invecchiamento dell’Europa? Ho un’opinione personale: penso che il benessere sia la radice, attaccarsi al benessere. Sì, ma stiamo bene, io non faccio figli perché devo comprare la villa, fare turismo, un figlio è un rischio, non si sa mai… ma attenzione è un benessere che ti porta a invecchiare. Invece l’Africa è vita. Ho trovato in Africa un gesto che avevo trovato in Colombia e a Cartagena: le persone che mi mostravano i bambini. Dicevano: questo è il mio tesoro, questa è la mia vittoria. Lo stesso gesto l’ho visto in Europa orientale con una nonna che faceva vedere il bambino e diceva, questo è il mio trionfo. Voi avete la sfida di educare questi giovani. L’educazione in questo momento è prioritaria nel tuo Paese, è prioritaria. Il primo ministro di Mauritius mi diceva che ha in mente la sfida di far crescere un sistema educativo per tutti. La gratuità del sistema educativo è importante perché ci sono centri di educazione di alto livello ma a pagamento. Ce ne sono ma occorre moltiplicarli perché l’educazione arrivi a tutti. Le leggi su salute ed educazione lì, sono la chiave. Il terzo, la xenofobia. Io ho letto sui giornali di questo problema della xenofobia. Ma non è un problema solo dell’Africa, è una malattia umana, come il morbillo. E’ una malattia, ti viene, entra in un paese, entra in un continente. E mettiamo muri, no? E i muri lasciano soli coloro che li fabbricano. Sì, lasciano fuori tanta gente, ma coloro che rimangono dentro i muri rimarranno soli, e alla fine della storia sconfitti per delle invasioni potenti. Ma la xenofobia è una malattia: una malattia ‘giustificabile’, tra virgolette, no la purezza della razza, ad esempio, per nominare una xenofobia del secolo scorso.
Le xenofobie tante volte cavalcano sui cosiddetti populismi politici. Ho detto la settimana scorsa o l’altra che delle volte sento in alcuni posti discorsi che assomigliano a quelli di Hitler nel ’34. Si vede che c’è un ritornello in Europa, ma anche in Africa. Anche voi in Africa avete un problema culturale che dovete risolvere. Io ricordo che ne ho parlato in Kenya, il tribalismo. Lì ci vuole un lavoro di educazione, di avvicinamento fra le diverse tribù per fare una nazione. Abbiamo commemorato il 25/o della tragedia del Rwanda, poco tempo fa. Un effetto del tribalismo. Io ricordo in Kenya, nello stadio, quando ho chiesto a tutti di alzarsi, di darsi la mano, e dire “No al tribalismo, no al tribalismo”, dobbiamo dire no. Questo anche è una chiusura e anche una xenofobia, una xenofobia domestica, ma è pure una xenofobia. Si deve lottare contro questo: sia alla xenofobia di un paese con un altro, sia alla xenofobia interna. E in alcuni casi di Africa al tribalismo che ci portano alla tragedia del Rwanda, ad esempio.
Vostra santità voi avete parlato dell’avvenire dei giovani durante la vostra visita apostolica. Io penso che la fondazione di una famiglia tende ad arrivare più tardi… Attualmente in Madagascar molti giovani vivono in una famiglia molto complessa: a causa della povertà i genitori sono molto occupati… i giovani … valori della famiglia… La Chiesa come può aiutare e accompagnare i giovani, come può intervenire nella crisi familiare e cosa può di fronte alla rivoluzione sessuale di oggi…
Sì la famiglia è certamente è chiave in questo… Nell’educazione dei figli, no? … E’ toccante la espressione dei giovani, nel Madagascar lo abbiamo visto e anche lo abbiamo visto nel Maurizio. E anche i giovani nel lato del Mozambico. I giovani interreligiosi per la pace, no? Dare dei valori ai giovani, no? Farli crescere… In Madagascar è legato il problema della famiglia, è legato al problema della povertà. La mancanza di lavoro e anche allo sfruttamento, tante volte nel lavoro, no? Quanti impedimenti no? Per esempio nella cantiera, quella di granito, coloro che lavorano, guadagnano un dollaro e mezzo al giorno, no? Le leggi del lavoro, le leggi che proteggono la famiglia, e questo è fondamentale… e anche i valori familiari, che ci sono, tante volte poi vengono distrutti per la povertà, per … non i valori… ma il poter assenza lì…, l’educazione dei giovani, portarli avanti, no? Ad Akalaza abbiamo visto quello che ad Akamasoa … il lavoro con i più bambini che sta portando… fare una famiglia perché i bambini possano crescere in una famiglia “artificiale” (il Papa fa il cenno delle virgolette, ndr) davvero, ma era l’unica possibilità, no?
Ieri in Mauritius, dopo la messa, quando me ne stavo andando ho trovato monsignor Queda…. Con un poliziotto alto, grande, che aveva in mano una bambina, due anni aveva, più o meno… Si era persa e piangeva perché non trovavano i genitori. La polizia ha annunziato perché venissero e nel momento l’accarezzavano… E lì ho visto il dramma di tante bambini e giovani che perdono il legame familiare, benché vivano nella famiglia ma purtroppo arriva un momento e li perdono, a volte per un incidente, soltanto… e anche il ruolo dello Stato per contenerli, portarli avanti, no?
Lo Stato deve prendersi cura della famiglia! Dei giovani, questo, è un dovere dello Stato!, no? E’ un suo dovere portali avanti.
E… poi, ripeto: per una famiglia avere un figlio è un tesoro, e voi avete questa coscienza! Avete la coscienza al tesoro. Ma adesso è necessario che tutta la società abbia la coscienza di far crescere questo tesoro, perché fa’ crescere il Paese, fa’ crescere la Patria, fa’ crescere i valori che daranno sovranità alla Patria. Non so se ho risposto prima ma…
E una cosa che dei bambini, mi ha colpito in tre Paesi, in tutti e tre… E che la gente salutava, no? Ma c’erano bambini così, (ha il gesto con mano, ndr) piccolini e salutavano pure … entravano nella gioia. Sulla gioia vorrei parlare dopo, grazie
Giornalista Mauritius:
La mia domanda è sulla situazione delle isole Chagos. Lei ha menzionato in un messaggio di ringraziamento il popolo delle Chagos. Il primo ministro la ha ringraziata per avere ricordato le sofferenze della popolazione Chagos, le cui isole sono occupate dalla Gran Bretagna. Oggi c’è una attiva base militare. Come si può aiutare il popolo Chagos a rientrare?
Io vorrei ripetere la dottrina delle Chiesa, le organizzazioni internazionali quando noi riconosciamo e diamo loro la capacità di giudicare internazionalmente, pensiamo per esempio al tribunale internazionale dell’Aia o le Nazioni Unite. Loro parlano, e se siamo una umanità dobbiamo obbedire, è vero che non sempre le cose che sembrano giuste per tutta l’umanità saranno giuste alle nostre tasche ma si deve obbedire alle istituzioni internazionali. Per questo sono state create le Nazioni Unite e il tribunale internazionale. Perché quando c’è qualche lotta interna o tra i paesi si va li a risolvere come fratelli civilizzati. E poi c’è un altro fenomeno – lo dico chiaro, ma non so se è un fenomeno del nostro caso – quando arriva la liberazione di un popolo e lo stato dominante deve andare. In Africa ci sono state tante liberazioni, dalla Francia, dalla Gran Bretagna, dal Belgio, dall’Italia. Nazioni che sono dovute andarsene. Alcune sono andate via bene ma nell’andare via c’è sempre in tutti la tentazione di portarsi qualcosa in tasca. Si, io do la liberazione a questo popolo ma qualche briciola me la porto via, per esempio io do la liberazione al paese ma dal pavimento in su, il sottosuolo rimane mio. Per dirvi un esempio, non so se è vero, ma sempre c’è questa tentazione io credo che le organizzazioni internazionali debbano fare anche un processo di accompagnamento, riconoscendo alle potenze dominanti quello che hanno fatto per quel paese e riconoscendo la buona volontà di andarsene, e aiutandoli, con libertà, con fratellanza. Ma questo è un lavoro culturale, lento, dell’umanità e in questo le istituzioni internazionali ci aiutano tanto e dobbiamo andare avanti, rendendo le istituzioni internazionali sempre più forti, le Nazioni Unite e l’Unione Europea siano più forti, non nel senso di dominio, ma di giustizia, fratellanza e unità. Questa è una delle cose importanti … ma c’è un’altra cosa che vorrei approfittare di dire. Se oggi non ci sono colonizzazioni geografiche almeno non tante, non ci sono, ma ci sono colonizzazioni ideologiche che vogliono entrare nella cultura dei popoli e cambiare quella cultura e omogeneizzare l’umanità. È l’immagine della globalizzazione come una sfera, tutti uguali, ogni punto equidistante dal centro, mentre la vera globalizzazione non è una sfera ma un poliedro, dove ogni popolo e nazione conserva la propria identità ma si unisce a tutta l’umanità. La colonizzazione ideologica invece, cerca di cancellare l’identità degli altri per farli uguali. E vengono con proposte ideologiche che vanno contro la natura e la storia e i valori di quel popolo. Dobbiamo rispettare l’identità dei popoli, e questa è una premessa da rispettare sempre e cosi cacciamo via tutte le colonizzazioni.
… aggiunta del Papa sul viaggio
Prima di dare la parola alla Efe vorrei dire qualcosa di più sul viaggio. Nel tuo Paese (Mauritius) mi ha colpito molto la capacità di unità e di dialogo interreligioso. Non si cancella la differenza delle religioni ma si sottolinea che tutti siamo fratelli e tutti dobbiamo parlare. Ma questo è un segnale di maturità del tuo Paese. Parlando con il primo ministro ieri sono rimasto stupito di come hanno elaborato questa realtà, la vivono come necessità di convivenza. E c’è una commissione interculturale. La prima cosa che ho trovato ieri entrando in episcopio è un mazzo di fiori bellissimo. Chi lo ha inviato? Il grande Imam. Essere fratelli. La fratellanza umana che è alla base. Il rispetto religioso è importante. Per questo ai missionari io dico di non fare proselitismo. Il proselitismo vale per la politica, per lo sport “vieni nella mia squadra”, ma non per la fede. Ma che cosa significa per te, Papa, evangelizzare. C’è una frase di San Francesco di Assisi che mi ha illuminato tanto: “Portate il Vangelo e se fosse necessario anche con le parole”. Evangelizzare è quello che noi leggiamo nel libro degli Atti degli apostoli. Cioè testimonianza. E quella testimonianza provoca la domanda. Ma tu perché vivi così? Perché fai questo? E lì spiego: per il Vangelo. L’annuncio viene dopo la testimonianza. Prima vivi come un cristiano e se ti domandano fallo. La testimonianza è il primo passo, e il primo passo dell’evangelizzazione è lo Spirito Santo che porta i cristiani e i missionari a dare testimonianza. Poi verranno le domande. Ma la testimonianza di vita è il primo passo. È importante per evitare il proselitismo. Quando voi vedete proposte religiose che vanno per il cammino del proselitismo non sono cristiane. Cercano dei proseliti, non adoratori di Dio e verità. Approfitto di dire questo per la vostra esperienza interreligiosa che è molto bella e anche il primo ministro mi ha detto che quando chiede aiuto uno “noi diamo lo stesso a tutti e nessuno si offende perché si sentono fratelli”. E questo fa l’unità del Paese. È molto importante. Anche negli incontri, non solo c’erano cattolici, ma musulmani, hindi, e fedeli di altre religioni e tutti eravamo lì fratelli. L’ho visto nel Madagascar abbastanza nell’atto per la pace dei giovani. Proprio i giovani di diverse religioni hanno voluto esprimere come vogliono vivere la pace. Pace, fraternità, convivenza interreligiosa. Niente proselitismo. Sono cose che dobbiamo imparare per la convivenza. Inoltre, nei tre Paesi mi ha colpito anche che nelle strade c’era il popolo. Autoconvocato. Alla Messa allo stadio sotto la pioggia c’era il popolo. E danzavano sotto la pioggia ed erano felici. E anche alla veglia notturna e alla Messa. Dicono che ha sorpassato il milione. E’ il dato ufficiale. Non so. Io dico che erano un po’ meno, facciamo 800mila. Ma il numero non interessa. Interessa il popolo, gente che era arrivata a piedi, dal pomeriggio prima, è stata alla veglia, e ha dormito lì. Io ho pensato a Rio de Janeiro nel 2013, che dormirono sulla spiaggia, e pensavo al popolo. Volevano stare con il Papa. Io mi sono sentito umiliato, piccolissimo, davanti a questa grandiosità della sovranità popolare. E qual è il segno che un gruppo di gente è popolo? La gioia. C’erano dei poveri, c’era gente che non aveva mangiato quel pomeriggio, per stare lì, ma erano gioiosi. Invece quando i gruppi o persone si staccano da quel senso popolare della gioia, perdono la gioia. E’ uno dei primi segnali, la tristezza dei soli. La tristezza di coloro che hanno dimenticato le loro radici culturali. Il popolo. Avere coscienza di essere un popolo è avere coscienza di una identità, di avere un modo di capire la realtà. Questo accomuna la gente. Ma il segnale che tu sei nel popolo e non in una “élite” è la gioia. La gioia comune. Questo ho voluto sottolinearlo. E per questo i bambini salutavano così perché i genitori li contagiavano con la gioia.
Secondo Lei come sarà la comunicazione del futuro? Verrà un giorno in Spagna?
Io avrei bisogno del pallone di cristallo per rispondervi. Prima di tutto, ci andrò in Spagna, spero, se vivo. Ma la priorità dei viaggi in Europa è: i paesi piccoli. Poi i più’ grandi.
Non so come sarà’ la comunicazione del futuro. Penso però a come era. Per esempio, la comunicazione quando io ero ragazzo, era ancora senza tv. Con la radio, col giornale, anche col giornale clandestino che era perseguitato dal governo di turno. Si vendeva di notte, con i volontari. Oppure era anche orale. Ma è una comunicazione, se facciamo la comparazione con questa, è’ una comparazione precaria. Questa sarà precaria, forse, rispetto a quella del futuro. Ma quello che rimane come una cosa costante della comunicazione è la capacità di trasmettere un fatto, un avvenimento, e distinguerlo dall’interpretazione.
Una delle cose che danneggia la comunicazione del passato, del presente e sicuramente del futuro è l’interpretazione.
C’è uno studio molto bello, uscito 3 anni fa, di una studiosa di lingua dell’Università di … che parla della mobilità della comunicazione (di come cambia il messaggio) in un racconto scritto tra autore e lettore. Poiché la comunicazione è sempre una cosa “mobile”, è facile passare dal fatto all’interpretazione. È importante che il fatto sia al centro e che sempre ci si accosti al fatto. Anche noi, ad esempio nella curia, c’è un fatto, lo si racconta, ma viene abbellito, impreziosito, ognuno ci mette del suo. Non con cattive intenzioni, ma è la dinamica. L’essenza del comunicatore è sempre riferire il fatto: il fatto è questo, la mia interpretazione è questa, mi hanno detto questo. Distinguere il fatto dall’interpretazione.
Una volta mi raccontarono la storia di cappuccetto rosso, però ci aggiunsero l’interpretazione. E così la storia finiva con cappuccetto rosso e con la nonna che facevano un brindisi con il lupo. Insomma: l’interpretazione cambia il fatto. Questo studio di Simon Paganeia è molto buono. Sono considerazioni che riguardano ogni tipo di comunicazione: la fedeltà al fatto. “Si dice che” … si può dire, certo. Ma poi bisogna avere l’onestà di verificare l’oggettività del “si dice che”.
L’oggettività è un altro dei valori che bisogna garantire nella comunicazione.
Seconda cosa: la comunicazione deve essere umana, totalmente umana. umana significa costruttiva. Cioè deve essere per l’altro. la comunicazione non può’ essere usata come strumento di guerra. Distrugge. L’altro giorno commentavo con padre Rueda un articolo sulla capacità distruttiva della lingua, è come l’arsenico. La comunicazione deve essere al servizio della costruzione e non della distruzione. Quando la comunicazione è al servizio della distruzione? Quando difende progetti non umani. Pensiamo per esempio alla propaganda, nelle dittature del secolo passato. Le dittature erano molto abili nella comunicazione, in argentina diciamo “che vendono in centro” (nella strada centrale”), pero’ tutta costruita. Fomentavano guerre, divisioni, erano distruttive. Io non so tecnicamente cosa dirti, non sono esperto in materia, però sia per le radio che ascoltavo da bambino, sia per i media del futuro è lo stesso: coerenza ai fatti.
Uno dei temi di questo viaggio è stato la protezione dell’ambiente naturale. Ne ha parlato in tutti i suoi discorsi, anche coi giovani. Ha parlato della protezione degli alberi, degli incendi della deforestazione. La stessa cosa sta accadendo in questo momento nell’Amazzonia. Lei crede che i governi di queste aree amazzoniche stiano facendo di tutto per proteggere questo polmone del mondo?
Questo l’ho detto in un altro viaggio: c’è un “incosciente collettivo”: “L’Africa va sfruttata”. Una cosa incosciente. Noi non pensiamo: “L’Europa va sfruttata”, no per favore. No, l’Africa va sfruttata. Noi dobbiamo liberare l’umanità da questi incoscienti collettivi. Il punto più forte di questo sfruttamento, non solamente in Africa ma dappertutto nel mondo, è l’ambiente naturale. L’ambiente naturale… la deforestazione, la distruzione della biodiversità. Un paio di mesi fa ho ricevuto i cappellani del mare. Nell’udienza c’erano sette ragazzi pescatori che pescavano in una barca che non era più lunga di questo aereo. Pescavano con mezzi meccanici come adesso. Un po’ avventurieri… E mi hanno detto questo: “Da alcuni mesi fa fino ad oggi abbiamo recuperato quasi sei tonnellate di plastica. In Vaticano abbiamo proibito la plastica. Stiamo in questo lavoro qui. Sei tonnellate di plastica, ma questa è una realtà. Soltanto nei mari. Nelle intenzioni di preghiera di questo mese del papa è proprio la protezione degli oceani che ci danno anche l’ossigeno. Poi ci sono i grandi polmoni dell’umanità. Uno è in centro Africa, uno in Brasile, in tutta la zona amazzonica, e poi, e poi ce n’è uno che non ricordo bene. Sono piccoli polmoni dello stesso genere. Difendere l’ecologia, la biodiversità che è la nostra vita, difendere l’ossigeno. A me fa illusione… la lotta più grande è quella per la biodiversità. La difesa dell’ambiente naturale la portano avanti i giovani che hanno una grande coscienza, perché dicono: “Il futuro è nostro…, col tuo fai quello che vuoi, ma non col nostro”. Cominciano a ragionare un po’ di questo. Poi è arrivato l’accordo di Parigi, che è stato un passo avanti buono. Poi quello di Katowice è stato buono pure. Sono incontri che aiutano a prendere coscienza. L’anno scorso, nell’estate, quando ho visto quella nave che navigava nel Polo Nord come se niente fosse ho sentito angoscia. E poco tempo fa, alcuni mesi fa, abbiamo tutti visto la fotografia dell’atto funebre che hanno fatto credo in Groenlandia, dove c’è qualche ghiacciaio che non c’era più, hanno fatto un atto simbolico per attirare l’attenzione. Ora questo va di fretta… Dobbiamo prendere coscienza incominciando dalle cose piccole, coscienze piccole. La sua domanda: «I governanti stanno facendo di tutto?». Alcuni più, alcuni meno. C’è una parola che debbo dire, e che è alla base dello sfruttamento ambientale. Sono rimasto commosso con l’articolo del Messaggero del 10 nel quale l’autrice non ha risparmiato parole parlando di manovre distruttive, di rapacità… Ma questo non solo in Africa, anche nelle nostre città, nelle nostre civiltà. E la parola brutta brutta brutta è: corruzione. Io ho bisogno di fare questo, ma per fare questo debbo deforestare quello, quell’altro, quell’altro. Ho bisogno del permesso dei governi, del governo, provinciale, nazionale non so… e così vado dal responsabile… La mia domanda… ripeto letteralmente quello che mi ha detto un imprenditore spagnolo. La domanda che sentiamo dire perché ci approvino un progetto è: “E per me quanto?”. Sfacciatamente. Questo succede in Africa, in America Latina, anche in Europa, dappertutto. Quando si prende la responsabilità socio-politica, come medaglia (???) personale, li sfruttano i valori, si sfrutta la natura, si sfrutta tanta gente. Noi pensiamo all’Africa che va sfruttata, ma pensiamo anche a tanti operai sfruttati nelle nostre società. Il caporalato non lo hanno inventato gli Africani! Lo abbiamo in Europa. La domestica pagata un terzo di quello che si deve non l’hanno inventata gli Africani. Le donne ingannate e sfruttate per fare la prostituzione nel centro delle nostre città non l’hanno inventato gli Africani, anche da noi, da tutti, anche da noi c’è questo sfruttamento non solo ambientale ma anche umano. E questo è per corruzione. Prepariamoci perché viene di tutto.
Ovviamente ci sono forti critiche e persino di alcuni alleati più stretti hanno parlato di un complotto contro di lei, c’è qualcosa che questi critici non capiscono dal suo pontificato, o c’è qualcosa che lei ha imparato dalle critiche? Un’altra cosa lei ha paura di uno scisma nella chiesa americana, e se sì c’è qualcosa che lei potrebbe, fare, un dialogo per aiutare il pontificato…
Prima di tutto le critiche sempre aiutano, quando uno riceve una critica subito deve fare autocritica, e dire questo è vero, non è vero, fino a che punto… Io dalle critiche vedo sempre i vantaggi. Delle volte ti arrabbi, ma i vantaggi ci sono. Poi nel viaggio di andata a Maputo, è venuto uno di voi, mi ha dato quel libro: “La chiesa americana attacca il papa… gli americani… No il papa sotto l’attacco degli americani…ecco come gli americani vogliono cambiare il papa… Insomma, ecco questo il libro che mi avete dato un esemplare, io sapevo del libro, sapevo ma non lo avevo letto. Le critiche non sono soltanto degli americani, arrivano un po’ dappertutto, anche dalla curia. Quelli che le dicono almeno hanno il vantaggio dell’onestà di dirlo, e a me piace questo. A me non piace quando le critiche stanno sotto il tavolo, fanno un sorriso che ti fanno vedere i denti e poi ti danno il pugnale da dietro. Questo non è leale, non è umano. La critica è un elemento di costruzione e se la tua critica non è giusta ti stai preparato a ricevere la risposta e a fare un dialogo, una discussione e arrivare ad un punto giusto: questa è la dinamica della critica vera, invece la critica delle pillole di arsenico, di cui parlava questo articolo che ho dato a padre Vuela, è un po’ buttare la pietra e nascondere la mano. Questo non serve, questo non aiuta. Aiuta ai piccoli gruppetti chiusi che non vogliono sentire la risposta alla critica. Una critica che non vuole sentire la risposta è buttare la pietra e nascondere la mano. Invece una critica leale, io penso questo, questo, questo…è aperta alla risposta, e si costruisce, aiuta. Davanti al caso del Papa: “ma questo del Papa non mi piace” … faccio la critica e aspetto la risposta, vado da lui e parlo e scrivo un articolo e gli chiedo di rispondere. Questo è leale, questo è amare la chiesa. Fare una critica senza voler sentire la risposta e senza fare il dialogo è non volere bene alla chiesa, è andare dietro ad una idea fissa, cambiare papa, cambiare stile, o fare uno scisma, questo è chiaro no? Una critica leale è sempre ben accetta, almeno da me
Secondo, il problema dello scisma. Nella chiesa ci sono stati tanti scismi. Dopo il Vaticano II, l’ultima votazione quella dell’infallibilità, un bel gruppo se ne è andato, si è staccato dalla chiesa e ha fondato i vetero- cattolici, per essere proprio fedeli alla tradizione della chiesa. Poi loro hanno trovato uno sviluppo differente e adesso fanno l’ordinazione delle donne, ma in quel momento erano rigidi, andavano dietro ad un’ortodossia e pensavano che il concilio avesse sbagliato. Un altro gruppo se ne ha andato senza votare, zitti zitti, e non ha voluto votare.
Il Vaticano II ha generato queste cose, forse lo stacco più conosciuto è quello di Lefevbre. Sempre c’è l‘azione scismatica nella chiesa. E’ una delle azioni che il Signore lascia sempre alla libertà umana. Io non ho paura degli scismi, prego perché non ce ne siano, perché di mezzo c’è la salute spirituale di tanta gente. Prego che ci sia il dialogo, che ci sia la correzione se c’è qualche sbaglio, ma il cammino nello scisma non è cristiano. Ma pensiamo all’inizio della chiesa, come ha incominciato la Chiesa con tanti scismi, uno dietro l’altro, basta leggere la storia della chiesa. Gli ariani, gli gnostici, i monofisiti, tutti questi no… Poi mi viene da ricordare un aneddoto che l’ho detto qualche volta. È stato il popolo di Dio a salvare dagli scismi, gli scismatici sempre hanno una cosa in comune, si staccano dal popolo, dalla fede del popolo, dalla fede del popolo di Dio. E quando al concilio di Efeso c’era una discussione sulla maternità di Maria, il popolo – questo è storico – era all’entrata della cattedrale e quando i vescovi entravano per fare il concilio, stavano lì e li aspettavano con i bastoni, gli facevano vedere i bastoni e gridavano, “Madre di Dio, Madre di Dio”. Come per dire: “se voi non fate questo ecco cosa vi aspetta”. Il popolo Dio sempre aggiusta e aiuta. Uno scisma è sempre uno stato elitario, l’ideologia staccata dalla dottrina, una ideologia, forse giusta, ma che entra nella dottrina e la stacca, e diventa dottrina, tra virgolette, ma per “un tempo”. Per questo io prego che non ci siano gli scismi. Ma non ho paura.
Per aiutare, ma quello che sto dicendo adesso, non avete paura io rispondo alle critiche, tutto questo lo faccio, forse se qualcuno gli viene qualcosa che devo fare lo farò. Per aiutare. Ma questo è uno dei risultati del Vaticano II, non è che questo papa o l’altro papa o l’altro papa… Ad esempio le cose sociali che io dico sono le stesse che ha detto Giovanni Paolo II, le stesse, io copio lui. “Ma il Papa è troppo comunista, eh ”, entrano delle ideologie nella dottrina, e quando la dottrina scivola sulla ideologia lì c’è la possibilità di uno scisma.
E anche c’è l’ideologia… cioè la primazia di una morale asettica, su la morale del popolo di Dio, che anche i pastori devono condurre il gregge, tra la grazia e il peccato. La morale evangelica è questa. Invece la morale dell’ideologia, così pelagiana, per dirla così, ti porta alla rigidità e oggi abbiamo tante, tante scuole di rigidità dentro la chiesa. Non sono scisma, ma sono vie cristiane pseudo-scismatiche che alla fine finiranno male, quando voi vedrete cristiani, vescovi, sacerdoti, rigidi dietro di quello ci sono dei problemi, non c’è la sanità del vangelo, per questo dobbiamo essere miti. Miti con le persone che sono tentate da questi attacchi, perché stanno passando un problema, e dobbiamo accompagnarle con mitezza.
Aura Miguel di Radio Renacencia
Francesco: Come ho parlato in portoghese?
Aura: Benissimo! Si capiva molto bene. Torno sul Mozambico solo per chiedere questo. Noi sappiamo che a lei non piace visitare dei Paesi durante le campagne elettorali. Eppure lo ha fatto in Mozambico a un mese dalle elezioni, essendo il presidente che l’ha invitata uno dei candidati.
Non è stato uno sbaglio, non è stato uno sbaglio. È stata un’opzione presa liberamente. Perché la campagna elettorale che comincia in questi giorni passava in secondo piano di fronte al processo di pace. L’importante era visitare per aiutare a consolidare il processo di pace. E questo più importante di una campagna che ancora non era ancora iniziata. Cominciava nei giorni scorsi, alla fine della mia visita. E poi ho potuto salutare gli avversari politici, per sottolineare che l’importante era quello, e non fare il tifo per questo presidente, che io non conosco e non so come la pensa e non so neppure come la pensano gli altri. Per me era più importante sottolineare l’unità del Paese. Ma quel che ha detto è vero: dobbiamo staccarci dalle campagne [elettorali] dei vari Paesi.